Il nostro arrivo a Suruç, domenica 14 dicembre, è segnato da caroselli di auto festanti con bandiere del Kurdistan. Il clima di guerra non riesce a scalfire la gioia di questo popolo che festeggia due matrimoni curdi e il ritrovamento di due corpi di martiri (i cittadini di Kobane definiscono martiri i combattenti di YPG e YPJ caduti in battaglia) uccisi durante gli scontri con l’ISIS questa mattina. I colori verde, giallo e rosso della bandiera curda sono la scenografia del nostro arrivo e lo saranno per tutta la nostra permanenza qui a Suruç.
Ci spiegano che poter celebrare i funerali in questa zona è una cosa rara poiché l’esercito turco impedisce qualsiasi passaggio del confine tra Siria e Turchia e il fatto stesso di essere riusciti a portare i corpi dei due combattenti alle loro famiglie è motivo di festa, ma soprattutto di restituzione di dignità ad un popolo che da anni lotta per la sua sopravvivenza. Solo le famiglie delle vittime potranno partecipare alla cerimonia di sepoltura, ma questo non vieta a tutta la comunità curda di riversarsi nelle strade per onorare i propri caduti.
Da subito ci mettiamo al lavoro: i magazzini di raccolta degli aiuti umanitari sono gremiti di attivisti che quotidianamente si impegnano a smistare e distribuire beni di prima necessità, come alimenti e vestiti, che verranno poi destinati ai campi di accoglienza per rifugiati.
I rifugiati a Suruç sono circa 30.000 – numero pari a quello dei residenti prima dello scoppio della guerra – e la solidarietà di chi lavora in questi magazzini non si ferma e volontari cercano di mandare clandestinamente dentro la città di Kobane tutti i beni di prima necessità per sostenere i combattenti e i 6000 civili ancora presenti, questi ultimi sono i pochi che non hanno alcuna intenzione di lasciare la città.
La prima giornata passa in fretta, tra il cercare di capire cosa realmente succede in questo territorio e trovare un confronto con le persone che ne vivono la quotidianità. Già lunedì mattina entriamo al villaggio di Mehesser diventando anche noi protagonisti della catena umana, un’iniziativa che, come hanno già raccontato le staffette precedenti, si tiene ogni mattina alle 10.30. Per noi è stato il primo momento di vera socialità con questa calorosa ed accogliente popolazione.
Con loro abbiamo osservato attentamente lo scontro che purtroppo vede ancora l’ISIS in testa: ulteriori colpi di mortaio sono stati sparati contro le postazioni dei Peshmerga, nel bosco che si trova a ovest di Kobane.
Giunge un’altra brutta notizia, durante la notte è stata uccisa una combattente turca militante del partito marxista-leninista, questa notizia desta molto sgomento giacché non sono molti i turchi che si arruolano nelle unità di difesa del popolo, i compagni turchi di solito restano a dare sostegno a Suruç e nelle retrovie.
Nonostante tutto il morale della gente del villaggio rimane alto, si continua a ridere, festeggiare, ballare e bere çai fino a tarda notte.
Il pomeriggio lo abbiamo passato nei campi di accoglienza, dove abbiamo parlato con le famiglie delle loro esigenze e i loro problemi legati principalmente alla mancanza di luoghi per i bambini dove studiare e giocare.
Durante la serata si sono elevati numerosi festeggiamenti a ritmo di musica mandata a tutto volume dal bagagliaio di un’auto mentre i ragazzi più giovani del villaggio ballavano in cerchio tenendosi per mano e cantando cori a sostegno della resistenza. Ma dopo pochi minuti l’attenzione di tutti è stata catturata dai boati dei bombardamenti dei caccia della coalizione che colpiranno per tutta la notte le postazioni dell’ISIS. Gli abitanti del villaggio dicono che è l’attacco più intenso eseguito dalla coalizione dall’inizio del conflitto, e qualcuno, sempre col sorriso, scherza ironicamente: – finalmente Obama mette all’opera -.
Il risultato di questo bombardamento ancora non lo sappiamo. Attendiamo notizie dal fronte.
FONTE: globalproject.info